北京人 Běijīng rén

Racconti di viaggi in giro per la Cina (e il mondo) di uno che è rimasto a Pechino troppo tempo…

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Le bevande alcoliche in Nepal

Questo post non vuole essere una disamina esaustiva ma solo un personale resoconto delle bevande a base di alcol da me stesso medesimo provate in Nepal. Nello specifico questo post prende in esame cose bevute nella Kathmandu Valley (cioè nell’agglomerato urbano intorno alla capitale Kathmandu).

Iniziamo con la bevanda alcolica per eccellenza: la birra. La birra in Nepal, per ragioni a me non ancora chiarite, è piuttosto cara. O quantomeno lo è rispetto ad altri paesi asiatici (ad esempio il sud est asiatico, ma non solo). Ovunque in bar e ristoranti, dalla bettola più impresentabile al bar per expat, una birra in bottiglia costa tra le 450 e le 700 rupie nepalesi (tra i 3,50 e i 5,50 euro al cambio attuale), che è piuttosto caro..! O no, amiSci ? La Tuborg e la Carlsberg hanno stabilimenti in Nepal e quindi non c’è molta differenza tra queste ultime e le birre locali nepalesi. Ma quali sono le birre locali (locali locali)?

Ce ne sono diverse, tutte più o meno analoghe, nessuna eccellente. La Everest, la Gorkha, la Nepal Ice, la Barahsinghe. Tutte birre ale, dolci, che vanno giù facilmente.

La Yeti è invece una craft lager e in quanto tale è diversa dalle birre sopra citate come sapore, più intensa. Ma non chiedetemi di descrivere le birre troppo nel dettaglio perché sebbene mi piaccia berle, non ne capisco più di tanto (ahah).

Ovviamente se comprate nei negozietti di alimentari (mi riferisco alla miriade di minimarket che vendono cibo, bevande, ricariche telefoniche e molto altro sparsi in tutta la valle di Kathmandu) le birre suddette calano di prezzo restando però comunque su cifre che dovrebbero essere più ecomiche per una cosa come una birra prodotta localmente. Le birre in bottiglia costano leggermente di più di quelle in lattina. Una birra in bottiglia comprata in un minimarket costa intorno alle 350 rupie (2,75 euro ACA,al cambio attuale), mentre ad esempio una Nepal Ice in lattina l’ho trovata a prezzi tra le 260 (2 euro) e le 275 rupie(2,15 euro).

Poi ci sono tutta una serie di bevande ‘strane’ e distillati locali, tutti estremamente economici. Io ne ho provato sostanzialmente tre.

C’è una roba che si chiama chhaang (con due acca e due a) ed è una bevanda di colore bianco di origine tibetana. L’ho provata in un paio di ristoranti e sembrava fosse prodotta artigianalmente (non c’erano marchi o etichette): è molto leggera, scende molto facilmente e se ne può bere un litro a testa senza troppe difficoltà. Ed è anche super economica. Io l’ho provata in un ristorante a Kirtipur (una delle cittadine della valle, appena oltre i confini urbani di Kathmandu) a 200 rupie (1,60 euro) per 1 litro. Questa bevanda ,che si chiama appunto chhaang, è una stretta parente della birra anche se non è frizzante e all’orzo o al miglio spesso viene preferito il riso. È una sorta di ‘birra di riso‘ ? Probabile.

Il ristorante dove l’ho provata è il seguente: View Point Restaurant

C’è un’altra cosa che ho provato e che si chiama tongba ma non chiedetemi cos’è perché non ve lo saprei dire. Ma posso provare a descriverla. Trattasi di mega bicchierone da almeno un litro di roba pieno di una sorta di mosto d’uva (ma non è mosto in realtà, famo a capisse…) e sul suddetto ‘mosto’ viene versata dell’acqua bollente. Come sapore assomiglia un po’ al ‘vinello’…molto poco alcolico…ma alla fine se ne beve talmente tanto che si tende ad ubriacarsi. Comunicazione di servizio: in realtà ho appena letto su Wikipedia che quella roba di cui è pieno il bicchierone di tongba non è mosto (ovviamOnt) ma ‘miglio fermentato’.

Ho bevuto la tongba per 120 rupie (meno di 1 euro) per un mega bicchierone che può essere alimentato più volte aggiungendo acqua bollente. Il posto dove l’ho bevuto si chiama Small Star ed è un mini-ristorante/bettola di Kathmandu.

Indirizzo del suddetto ristorante/bettola cliccando qua: Small Star . In realtà l’ho provato anche in un altro posto, l’Utse ma qui costava un po’ di più (ma cmq tipo 3 euro…).

Foto della tongba:

Questa è la tongba, bevanda di miglio fermentato a cui viene aggiunto ACQUA BOLLENTE.

Poi ci sono tutta una serie di distillati dolci/dolciastri a gusti tipo mela che mi ricordano un po’ il soju coreano come sapore (googlatelo) e una bottiglietta da tipo 300ml costa 100 rupie (meno di 1 eurino).

Concludo dicendo che cose tipo chhaang e tongba si trovano prevalentemente in piccoli ristoranti a gestione familiare (non in bar) o comunque in posti che fatta na certa (in genere le 9 di sera), chiudono. Quindi comunque dopo quell’ora l’unica cosa che si può bere è la cara (in tutti i sensi) birra. Questa almeno è stata la mia esperienza.

Per ora è tutto… <post in aggiornamento…forse…>

Che ce sta sur taco che te stai a magna’ ?!!?

Tipico banchetto di tacos, a San Andres Tuxla, nello stato di Veracruz, in Messico.

Intanto sono arrivato in Messico (ormai da ben tre mesi). E in Messico come tutti sanno si mangiano parecchi tacos. Che sembra una cosa banale, ma in realtà non lo è, o almeno non del tutto visto che si fa presto a dire ‘taco‘ ma si deve pur sapere esattamente cosa ci sia (che tipo di carne/riempimento) sopra a ‘sti tacos…in pratica:

Che ce sta sur taco che te stai a magna’ ? Facciamo una breve disamina (per quello che c’ho capito) dei condimenti del taco, allora: taco al pastor(è il ‘kebab’ messicano, cioè carne di maiale affettata da uno spiedo…il kebab ovviamente in genere non è maiale, ma ci siamo capiti), buche(stomaco di maiale fritto), cabeza(testa di vacca, in genere le guance, mi dicono), carne asada(semplicemente carne arrostita/grigliata),carnitas(porco fritto di vario genere), chicharron(cotica, pelle di maiale fritta), chorizo(Salsiccia stagionata o affumicata a base di carne di maiale macinata e altri ingredienti), costillas(costolette), cueritos(pelle di maiale in salamoia), higado(fegato), lengua(la lingua..ma non ho mai capito se è lingua di maiale o di vacca), moronga(salsicia di sangue…di maiale), oreja(orecchia), rinon(rene), surtido(un misto), trompa(muso di maiale)…e diversi altri strani termini…chi lo aveva detto che lo spagnolo è semplice? Mortacci aò..

Questa dovrebbe essere ‘maciza‘(carne di maiale magra, spiegato sotto) pronta per essere messa su un taco. Ma non ci giurerei.
Bancarella di tacos a San Andres Tuxla, nello stato di Veracruz, in Messico.

Come si può vedere dalla foto qui sopra ci sono tanti altri termini strani tipo:

-Suadero

Maciza (carne magra): mangiare maciza significa non correre rischi. La mancanza di grasso nei lombi, nelle cosce e nelle spalle (parti magre) conferisce alla carne un sapore poco interessante. Non è che abbia un cattivo sapore (il maiale non potrebbe MAI avere un cattivo sapore), ma c’è un intero mondo di sapori in attesa in altre parti del nostro caro porcellino. Tuttavia la maciza è una delle scelte più popolari.

-Ubre (mammella del maiale? :-O )

Chochinita pibil: questo lo so! In pratica è carne di maiale giovane molto tenera che assume un colorito rossastro perché viene aggiunto il frutto di ‘na specie di bacche rosse derivanti dall’albero Bixa orellana (anche conosciuto come achiote).

In genere poi le bancarelle che vendono taco vendono anche da bere,per esempio: –Horchata de arroz: questo dovrebbe essere tipo ‘orzata di riso’…tipo un ‘latte’ di riso. Ho provato la normale horchata che però immagino equivalga all’italiana orzata, fatta di mandorle.

Per tutto il resto (suadero, ubre…) c’è Google.

il terzo dovrebbe essere ‘suadero’…forse.

Dalla Thailandia al Myanmar (Birmania) via terra

Circa 3 mesi fa, il 14 marzo 2020, decido di intraprendere la traversata dalla Thailandia alla Birmania (anche detta Myanmar) via terra. Vediamo come è andata nei dettagli. In primo luogo ho fatto (e stampato) il visto elettronico per la Birmania dal sito del governo birmano : il visto consiste in una pagina che viene mandata per e-mail il giorno successivo al pagamento e che deve poi essere presentata all’immigrazione quando si passa il confine. Costa 50 dollari. Sulla pagina del visto si dice che c’è bisogno di presentare alla frontiera un biglietto aereo/ferroviario di ritorno o di proseguimento verso un paese terzo ma questo non mi viene chiesto.

Comunque io la mattina del 14 marzo mi trovo a Sukhothai, in Thailandia, e dalla stazione dei pullman di questa amena (non tanto) località nel nord-ovest(più o meno) del paese prendo un “minibus” (un furgoncino da una decina di posti in pratica) per la città thailandese (al confine tra Thailandia e Birmania) di Mae Sot.

Minibus in partenza dall’autostazione di Sukhothai (in Thailandia) e diretto a Maesot (al confine con la Birmania).

A Maesot, dopo un viaggio di circa 3 ore, vengo scaricato al terminal dei bus, a circa 7km dal posto di confine Thailandia-Birmania. A questo punto mi si presentano 2 alternative: farmi un 15 minuti a piedi fino al mercato e poi da lì prendere un songthaew (una specie di camioncino condiviso) per lo strabiliante prezzo di 20 baht (circa 0,60 euro) fino al confine oppure farmici portare in scooter per 100 baht (circa 2,80 euro). Decido che i 2 euro (circa) in meno non valgono lo sbattimento e quindi opto per lo scooter.

Arrivato all’Ufficio immigrazione dalla parte thailandese del confine, mi stampano il passaporto in uscita dalla Thailandia, mi prendono le impronte digitali e mi avvio sul Thailand-Myanmar Friendship Bridge: un ponte tra Thailandia e Birmania che attraversa il fiume Moei. Non c’è sole ma in compenso c’è un caldo afoso che annebbia i pensieri.

Il “Thailand-Myanmar Friendship Bridge” (un ponte tra Thailandia e Birmania).
Un’altra foto del Thailand-Myanmar Friendship Bridge (un ponte tra Thailandia e Myanmar).

Comunque è una bella traversata e una volta giunti dall’altra parte si ha la percezione che le cose inizino a farsi ancora più “approssimative” e caotiche. Ma procediamo con ordine: il primo passo una volta arrivato al posto di confine birmano è stato l’ingresso in una stanzetta dove due tizie vestite tipo infermiere mi hanno preso la temperatura: questa non so se fosse una misura per il contenimento del ceppo virale SARS-CoV-2 oppure se fosse normale amministrazione anche in “tempo di pace” (in ogni caso, per inciso, 5 giorni dopo, il 19 marzo 2020, hanno chiuso questo confine dal quale sono entrato in Birmania “causa orthocoronavirinae”). A parte una lieve agitazione per un potenziale esito positivo della misurazione della temperatura corporea, invece va tutto bene e sul passaporto(sulla copertina esterna) mi viene applicato un adesivo dove c’è stampata la data (14 marzo 2020) e una scritta che dice: “Health Quarantine Myawaddy“(Myawaddy è la città che sta dalla parte birmana del confine).

Viene applicato un adesivo dove c’è la stampata la data (14 marzo 2020) e una scritta che dice: Health Quarantine Myawaddy.

Il secondo passo è la compilazione di un registro (presso una finestra poco più avanti della stanza della misurazione della temperatura) dove i viaggiatori lasciano le proprie generalità: nome, cognome, numero di passaporto, dove si è diretti, firma ecc. Mi viene fatto scrivere il tutto a penna e c’è qualcuno che mi suggerisce cosa scrivere e dove firmare e immagino sia qualcuno che lavori alla dogana ma scopro poi essere l’autista di un taxi condiviso che una volta passata l’immigrazione vuole portarmi da qualche parte (comunque non insiste troppo).

Il terzo ed ultimo passo per entrare in Birmania è l’Ufficio immigrazione vero e proprio dove presento il passaporto e il visto elettronico stampato sul foglio A4: nel giro di 10-15 minuti mi mettono il timbro sul passaporto e sul foglio A4 con il visto e finalmente posso fare il mio ingresso in Birmania.

https://lh3.googleusercontent.com/yeHKHHJVBpKbMfMQuX3po396q2qKXWmgEqBGGqi4bV1JeQmvtVafCcry8nhgqU_OYNc6Iazf94WX7diFExG3oSAVZAtu5GVM41gVG5lgloDcEsLbsiWzT1G0f6gMT9zlaWtC8Gnp0yKYwsiGEQrE5xgoDwJjCSUxAZWu3BWWNAm7RvxRNYRGdcKdF1ruwKv2Vq_1cBPz1cGfDy6CJhIqSqPKM2koS8BG5H_nSxgKz-PJPH6xFgvy2J5c6eNtE18DYhIrWgvs7tEYDCGObt0WzbWuAMrfF78nYYMlw3c-tdOpm1rUurCnAUZFUC-93q4p11CzhoWOwej1xhiCWkkSR42oDtQnDnjzDuBrkWm6V9vBWpSJwALUlbKQQOv66uDpVpMGV-rEXWizer5RHdp9ubq0BtQi-KmJOll78Urfq8tl2_dIP3WMqfA9WC23HGTn9pcJ_vbw9xVRTjv6-k_VtqL_4HxeAmguG1GoAi-r83T3OaeNuPYWq43XNDrBgy6uDjL30aQ6LbPrbN-73mX7Nyq7eR2JX3VnjTXvq-GN6AUC06AiQZ2-vV3dK48MsYXwMDi_em8Gtw9srLEURB6x_j8YJwV1C5nz7QuL4oZ3KQtkdy72k0gA2uNMHSktxbUZI3kT-VmvgCxzIpAK4geGIfGDm1oMVLTY9ZLa9w1gAmOLJTMlIRFjwrjzn3LvSA=w458-h610-no?authuser=0

Lasciato l’Ufficio immigrazione metto piede a Myawaddy: un delirio di macchine, negozietti di ogni tipo, veicoli, traffico, folla. E persone col longyi, una specie di “pantolone-gonna” tradizionale birmano che vedo per la prima volta: avrei voluto comprarlo ma poi mi è passato di mente. Comunque la prima cosa che faccio è cambiare i contanti (i miei baht thailandesi) in valuta locale: il kyat (che viene pronunciato come si pronuncerebbe “jazz“, una cosa del genere). I cambiavalute sono niente di più che tavolini di legno con delle macchinette contasoldi posti all’esterno di alcuni negozietti a poche centinaia di metri dal confine. Così, dopo aver cambiato i soldi (un MALLOPPO ASSURDO di banconote che entra a malapena nel portafogli) e aver comprato una SIM birmana dallo stesso negozio, mi metto alla ricerca di un taxi condiviso per arrivare alla mia prossima meta: Mawlamyine (che si pronuncia come in napoletano si pronuncerebbe ‘melenzane’, e cioè: ‘mulignan‘, più o meno).

Valuta locale birmana (i kyat). Sono banconote da 10000 kyat (ogni diecimila kyat sono poco più di 6 euro).

Chiedo un po’ in giro e ben presto trovo qualcuno che mi dice che va a Mawlamyine ma il problema è che finché l’autista del taxi non trova qualcun altro che va nello stesso posto non può partire, così mi rassegno ad aspettare un po’. Il tizio col longyi continua a dirmi che c’è da aspettare ma visto che ormai sono trascorse due ore e non si vede fine all’attesa allora mi sbologna a n’amico suo che ha già altri passeggeri a bordo e che finalmente parte in direzione ovest. Gli altri passeggeri sono ‘na signora con (credo) il figlio: la signora (più vecchia che giovane) sembra messa abbastanza male, infatti tossisce in continuazione e sembra essere in un evidente stato febbrile, il che, essendo un periodo di coronavirus, è alquanto preoccupante e il pensiero di aver eventualmente contratto il COronaVIrus Disease-2019 mi accompagna per almeno una decina di giorni. I circa 120Km che mi separano dalla mia meta, a parte poche eccezioni, sono un unico grande cantiere coperto da strati di polvere talmente spessi che sembra di essere nel deserto.

Una specie di “motel” sulla strada tra il confine birmano e la città di Mawlamyine.

Comunque, tempo tre ore circa, passato un ponte alquanto spettacolare arrivo presso il mio hotelsupereconomico (pagato l’equivalente di 6 euro per una notte) in città. Ma questa è un’altra storia.

https://lh3.googleusercontent.com/L1RryTtWPfI--RSaXp4028x_LNaBW1NHfBvQmTGInwUe1QwDr6XXVMKd83QTSF_jlsdfw9Ue_93JYNfDB-SW08jGBhKrIsohuafT8PWs9hSe4-VMnax3RhMEahNgEujzmdUwq7GyXQ4Wi43Pc4bOUMlXuweGApQtL3dFx9b3t6z8nnS9Bg97xhPxbtVQ_pgnwh3UrZ0SJ93QXIQizuCSAMuOIufG9E4oboFLy1foixZaXJdJqlx15mnjK7KGPMppd9l9Fh-O-dDRZDK0jaqQVz8aSgD-9oegqU2bzSADrgzqgiI9TtxjepRVNAPLRufTm9F4n2dMSHaH3hhzmpB9xBtc8HRXUrczo3IF_52G3-wpAgcng_rsRSKj7YIbFpvSup5IcULhUzvDbUIOkcUqJuiDKO50vVCaBP1dt680nDmOamqfXKXx-CZHtV7K3okm-TMXuKpUjEVqP5u75vPN9fK3SilB1YxGrRPNF6wuF4vNojiAYl2OEdyblPanzwbVEDGxs-knJz0O3xiDDtqenhZinS49WFP8cfILDXoocUl50QuPgsGbaPa0fyxnM_AEO5OZzWkzarN7obhr41FohotnTMY73_HogV2LcaZSWzwNgdghA2bPgegWN62AjXxajjQLzfh4IPtENPHnZxAGhlDFWmUMNuYs_WefB53a-8GlKJ0s0X8WxlVTzOQBbw=w458-h610-no?authuser=0
Ponte alle porte di Mawlamyine. Guidare in Birmania deve essere alquanto complesso visto che alcune macchine hanno la guida a sinistra e altre a destra (retaggio della colonizzazione inglese). :-/

I mercati notturni/diurni di cibo (e molto altro) di Bangkok

Il “Train market” di Srinakarin, il primo e più grande mercato notturno di Bangkok.

I mercati notturni in Thailandia (in questo caso a Bangkok) credo siano una tappa imperdibile per ogni buon epicureo in quanto sono letteralmente il paradiso dello street food e come disse qualcuno “il modo migliore per conoscere un popolo è tramite il suo stomaco” il che mi è sembrato fin da subito un’affermazione alquanto intrigante e ho ben presto deciso di farla veramente mia, adottandola come filosofia di vita da praticare con costanza e dedizione e i mercati notturni di Bangkok sono stati e saranno uno dei santuari della mia filosofia: ci sono file di bancarelle interminabili dove si servono centinaia di metri di leccornie di tutti i tipi e sono il modo migliore per passare una serata in compagnia o anche da soli, mangiando a sbafo mentre ci si aggira contenti alla visione di cotanta abbondanza di cibarie (la maggior parte dei mercati notturni è aperta dalle cinque di pomeriggio all’una di notte) assaggiando un po’ questo e un po’ quello dalle varie postazioni che vendono da mangiare, bevendo una birra qua e un altra là mentre si passeggia tra i banchetti di cibo. E volendo si può anche prendere un tavolino e rilassarsi un attimo e far sbollire la calura dei 30 gradi costanti di Bangkok con una buona birra ghiacciata, due chiacchiere, quattro risate e na ventina di simil-dim-sum (come quello che ho preso io, tra le altre cose) o centinaia di altri piatti e snack da scegliere tra quelli a disposizione.

Una specie di dim-sum accompagnati da una birra Leo al Train Market di Srinakarin a Bangkok

Personalmente sono stato fin’ora in 2 ‘night market’ (ero stato anche in altri nell’incursione a Bangkok di due anni fa):

1.Il Talad Rot Fai Train Night Market a Ratchada

2. Il Train Market di Srinakarin

Questi mercati (ce ne sono veramente tanti, in tutta la città) si chiamano tutti “train market” perché originariamente quando sono sorti si svolgevano all’interno di carrozze di treni dismessi (ma questa è un’informazione datami da una persona del posto e non ci metto la mano sul fuoco, se volete esserne certi rivolgetevi all’amico Google). Oltre alla roba da mangiare in abbondanza e al beveraggio che non manca mai ognuno di questi mercati ha anche qualcos’altro. Il Talad Rot Fai Train Night Market a Ratchada non è grandissimo (molto più piccolo di quello di Srinakarin comunque) e in aggiunta alla roba per riempirsi la panza ha anche vestiti, scarpe, ornamenti e roba economica di carabattole sparse (qualche souvenir o cose del genere) ma comunque veramente niente di esaltante da questo punto di vista. Il “train market” di Srinakarin,d’altra parte, è molto più grande ed ha il suo punto di forza nei vestiti vintage: all’interno dello spazio del mercato c’è grande profusione di capi di vestiario, scarpe e suppellettili varie che erano in voga ai bei tempi che furono. Non solo vestiti ma perfino macchine e motocicli che facevano furore qualche decennio fa e pompe di benzina (!) dell’epoca (ci saranno almeno una decina di pompe -a secco- di benzina).E non solo: anche vecchi televisori, giocattoli e action figure anni ’80, mobili vintage e perfino un paio di (autentici) elicotteri risalenti a qualche lustro fa. Comunque anche al mercato di Srinakarin il cibo ha una rilevanza fondamentale e se esiste su questa terra un paradiso per i golosi questa è senz’altro una delle sue succursali: piatti thai a non finire ma anche sushi, okonomiyaki e una serie di stranezze non meglio definibili (tra le quali l’immancabile barbecue di coccodrillo).

una okonomiyaki al “train market” di Srinakarin
Una delle auto (e vespe) esposte al “train market” di Srinakarin
Pompa di benzina al “train market” di Srinakarin
TV e telefoni al “train market” di Srinakarin
Fila enorme di bancarelle al “train market” di Srinakarin (questa è solo la parte riguardante il cibo).

(molte) costolette di maiale in vendita al Talad Rot Fai Train Night Market a Ratchada(Bangkok)

Un mio VIDEO: Train Market di Srinakarin a Bangkok(Thailandia)

AGGIORNAMENTO[20 febbraio 2020]: ieri ho visitato un terzo mercato notturno, che è:

3.l’Owl Market di Nonthaburi

La scelta è caduta su questo mercato in quanto era quello più vicino all’abitazione del mio ospitante di Couchsurfing: come detto prima questi mercati sono sorti un po’ come funghi negli ultimi dieci anni e quindi ormai ce n’è grosso modo uno per ogni quartiere. Questo è un mercato al 100% locale, non c’è nessun turista e nessuno sembra parlare una parola di inglese. I giorni di maggiore affluenza sono venerdì,sabato e domenica ed in effetti durante la mia visita (avvenuta di giovedì) pur essendoci comunque un numero considerevole di bancarelle di cibo, il mio ospitante mi fa notare che le postazioni presenti sono circa la metà rispetto a quelle presenti nel weekend e anche l’affluenza di visitatori è decisamente inferiore rispetto a quella che si vede nel fine settimana. Comunque a Bangkok, data la calura che imperversa 12 mesi l’anno, ogni giorno è buono per farsi un paio di birre e 2-3 piatti diversi da altrettante bancarelle in qualche mercato notturno all’aperto. In questo mercato, forse perché la mia visita cade al di fuori del weekend, i vestiti/oggetti/gadget “extra cibo” in vendita sono presenti in numero abbastanza ridotto.

Questa volta ho provato il “moo yor” che è una sorta di salsiccia di maiale formata da una pasta che viene messa a riposare in delle foglie di banana in modo da assumere la tipica forma verdina/biancastra e, una volta comprata, viene tagliuzzata, mescolata ad altre erbe e condimenti e servita a mo’ di insalata. È piccante al punto giusto questa specie di wurstellone e nel contesto dell’insalata non è affato male (da sola a un sapore tutto sommato scialbo).

Il “moo yor”, un piatto tipico del nord della Thailandia. All’Owl Market di Nonthaburi
Il “moo yor”, lo stesso della foto precedente, fatto a pezzi in una sorta di insalata (piccante!).

Altra cosa che non manca mai tra il cibo di strada in Thailandia è il calamaro, in genere grigliato e servito in più di una variante. Nella foto che segue si può vedere una distesa di calamari pronti per essere introdotti alle braci del barbecue e poi azzannati.

Distesa di calamari all’Owl Market di Nonthaburi

E per finire… un’altra insalatina di calamari mista a noccioline e (credo) mollica di pane e peperoncino piccante. Questa è davvero gustosa e va a pennello con una birra Chang (una delle birre thailandesi) ghiacciata. Foto a seguire. Bbbooona!

un insalata di calamari alquanto gustosa all’Owl Market di Nonthaburi
Anche la roba da bere “strana”/tradizionale non manca mai. Questi però non li ho ancora assaggiati :-/
Immagine bonus: Doraemon e compagni in vendita all’Owl Market di Nonthaburi

AGGIORNAMENTO[26 febbraio 2020]: oggi ho visitato un quarto mercato, che è il famoso:

4.Chatuchack Market

Il mercato di Chatuchack il cui sottotitolo è “weekend market” è in realtà ora aperto tutti i giorni della settimana tranne il lunedì e il martedì ed uno dei più famosi di Bangkok. A differenza di altri mercati è un mercato diurno, aperto dalla mattina fino alle 6 del pomeriggio. Tranne il venerdì che è il giorno in cui è aperto dalle 18:00 a mezzanotte. Io ci vado di mercoledì e in realtà l’unica cosa che vedo in questo mercato sono: LE PIANTE. Tante, tante piante, centinaia di metri (chilometri?) di piante di ogni foggia e misura. Le piante (e qualche postazione di vendita libri, ma relativamente poche) sono quasi l’unica cosa che sembra essere in vendita in questo mercato di mercoledì. Quasi tutti i negozietti/bancarelle hanno le serrande abbassate e in generale la gente presente non è moltissima. In più: fa un caldo pazzesco che percepisco ancora più intenso della calura che pervade normalmente le strade della capitale thailandese. C’è roba in vendita (piante) all’esterno, sotto il sole a picco a diciottomila gradi(cit.) ed essendo io solo di passaggio in città non ho un interesse così alto per le piante al momento, quindi faccio un giro abbastanza veloce. Sul versante cibo non c’è niente: 3-4 posti sparsi su tutta la superfice del mercato e un ristorantino che sembra frequentato prevalentemente da stranieri occidentali e che ha prezzi abbastanza “gonfiati”: ho preso un riso all’ananas e una birra per 390 bath (che sono 11 euro, afaccrocazz). In genere ai chioschi per strada sparsi per la città si mangia per 50 bath(0,60 euro) e includendo anche una birra grande dal 7-Eleven circa 100 bath in tutto… Comunque ci tornerò di venerdì, quando tutti i chioschi stracolmi delle merci più disparate saranno in attività. Stei tiunèd!

Piante in vendita al mercato di Chatuchak. 20 (bath) sono 0,60 euro. 50 (bath) sono meno di 1.50 euro.
Piante al mercato di Chatuchak
Ah, e anche qualche libro…
Al mercato di Chatuchak di mercoledì la maggior parte dei posti è chiusa.
Andare al mercato di Chatuchak di giorno è un po’ così…

AGGIORNAMENTO[28 febbraio 2020]: oggi sono tornato (dopo la volta del 26 febbraio 2020, due giorni prima) al mercato di Chatuchak.

E questa volta (28 febbraio ’20) è di venerdì: come detto sopra il venerdì è l’unico giorno che il mercato è aperto di sera (dalle 18:00 a mezzanotte). Ora non so se sia cambiato qualche cosa rispetto alla recensioni che ho letto online oppure molto probabilmente non le ho lette accuratamente ma comunque devo dire che questo mercato si è rivelato di nuovo relativamente deludente. Perchè deludente ? Perché è monotematico. Dalle recensioni (e dalla volta precedente che ci son stato, 2 anni fa) ricordo ci fosse di tutto: dai vestiti moderni a quelli vintage, dai libri agli animali domestici, dal cibo, alle piante, agli acquari, all’elettronica… Invece durante questa mia visita , di venerdì sera, ci sono essenzialmente due cose: VESTITI e roba da mangiare/bere. Tutto lo spazio enorme che il mercoledì era occupato dalle piante, il venerdì è occupato dai vestiti. Ma i vestiti che si trovano sono essenzialmente quella che a Napoli si suol dire bubbazza, cioè qualcosa di molto scadente, roba da mercatino trita e ritrita. C’è zero vintage, sono le solite pezze sostanzialmente. Qualcosina (-ina -ina) di più strano e particolare si trova ancora (per esempio il pantalone di cui ho postato una foto sotto) ma comunque pochino. Ah, e il cibo: c’è un grande assembramento di postazioni con pappatoria di svariato tipo all’ingresso del mercato, più varie bancarelle sparse su tutta la superfice: i prezzi sono leggermente più alti di quelli che si trovano in altri quartieri di Bangkok, ma cmq estremamente economici. Comunque, se non si è visto nessun altro mercato, e si vuole passare una serata a passeggiare sbevazzando una birra fredda, raccattando una maglietta in vendita durante il cammino e mangiando in allegria lo si può fare a Chatuchak il venerdì sera: ma comunque ci sono tanti altri posti così a Bangkok, indi…

Assembramento di bancarelle con roba da mangiare all’ingresso del mercato di Chatuchak
Pantalone molto eccitOnte che ho comBrato al mercato di Chatuchak
Il “six pack” sta arrivando. Per ora ho “six pack” di birre che ho comprato al supermercato…fa lo stess’ ? Non credo ?
Hmmm mi sono accattato il gelato con la birra. E’ facile facile: prendi una coppetta di gelato e ci versi la birra dentro. come si suol dire “nun c’ vo’ na scienzzzz…”

Una hostess in mascherina e guanti di plastica (tipo quelli per sbucciare i crostacei al ristorante) sul volo Beijing-Bangkok del 14 febbraio 2020

Il 14 febbraio del 2020, ormai esausto dopo 3 settimane di NULLA in una Pechino che un po’ per il capodanno cinese(periodo in cui tutti tornano nelle proprie città d’origine e la capitale cinese si svuota completamente), un po’ (una volta finito il capodanno) per il coronavirus (covid-19) è davvero spettrale e ancora più deprimente del normale livello di uallera che si sperimenta in città ogni inverno verso gennaio-marzo(è completamente deserta! l’80% dei negozi sono chiusi!), decido finalmente di gettare la spugna e di dirigermi verso i più ridenti lidi della Thailandia (e precisamente di Bangkok): c’è anche da dire che la scelta è quasi obbligata perché quasi tutti i paesi dell’est asiatico (tranne Cambogia, Thailandia e parzialmente Malaysia) hanno sospeso i voli da/verso la Cina.

Inizialmente in realtà avevo preso un volo per Kuala Lumpur(in Malaysia) con Air Asia (volo comprato il 11 febbraio, con partenza prevista per il 14), ma il volo suddetto mi è stato annullato dalla compagnia (i voli Cina-Malesia erano ancora attivi ma non quel volo Air Asia) e quindi il giorno dopo(due giorni prima della partenza) ho ripiegato su Bangkok che in realtà non mi dispiace affatto.

Il 14 febbraio 2020, giorno della fuga dalla Cina, al momento di uscire di casa, impazza una tempesta di neve, e per la prima volta in vita mia mi metto una mascherina di quelle che sono d’obbligo in questi tempi di virus&paranoia per accedere alla metropolitana e all’aeroporto che mi porterà in fine lontano da questa valle di lacrime. Io veramente non so la gente come faccia ad indossare ‘sta cazzo di mascherina: si suda maledettamente, la saliva ci si appiccica sopra e puzza e fa schifo. In più viene giù dal cielo neve come non se n’è mai vista a Pechino da almeno 10 anni e non ho neanche una giacca (che cazzo me ne faccio di una giacca in Thailandia? A Bangkok ci sono +35° di massima!) e mi sta venendo una fifa fottuta di prendermi una febbre e di rimanere bloccato nell’amata/odiata Gina “per accertamenti” (mortacci loro!). Alla metro di Beixinqiao(linea 5 della metropolitana) comunque mi prendono la temperatura con quelle pistolette-termometro ed è tutto nella norma: devo dire comunque che la linea 5 è relativamente affollata, infatti non trovo neanche da sedere. Poi cambio per la linea 2 per arrivare a Dongzhimen a prendere l’ “Airport Express” e la linea 2 è in effetti completamente deserta (nel vagone ci sono praticamente solo io). Comunque finalmente a Dongzhimen prendo il treno “express” per l’aereoporto e una volta arrivato a destinazione (al Beijing Capital Airport) passo di nuovo sotto un termoscanner ed è tutto regolare….fiuuu….sospiro di sollievo.

Faccio il check-in e poi i controlli di sicurezza (la solita rottura di cazzo dove devi passare sotto uno scanner borse, telefono, computer portatile, eccetera) che scorrono molto veloci perché c’è veramente poca gente in aeroporto e solo 2 nastri per il controllo bagagli aperti a fronte delle decine che ci sono quando non c’è il coronavirus che si aggira tra la gente, le compagnie aeree non sospendono i voli e si viaggia normalmente. Dopodiché, passo l’immigrazione e finalmente sono pronto a prendere il volo, arrivo al gate un’oretta e mezza prima della partenza del volo: ciao ciao Cina.

Volo Pechino(Cina)-Bangkok(Thailandia)

Ultima tappa in Cina: Yuanyang 元阳

Avevo inizialmente pianificato un paio di settimane di viaggio in Cina, tempistica che si è andata progressivamente allungando fino a diventare più di un mese.

Yuanyang (元阳), le risaie a terrazza: in cinese 梯田 (tītián).

Villagi rurali immersi in viste mozzafiato sulle risaie a terrazzo circostanti, zone rurali scampate al turismo di massa, colori spettacolari, sentieri immersi nella pace di agglomerati umani che resistono ai secoli: tutto questo è Yuanyang ed io sono diretto lì.

La Cina, vale la pena ricordarlo, è un paese non solo sconfinato ma, anche estremamente variegato e affascinante da visitare: per varietà paesaggistica, rilevanza storica(monumenti e punti d’interesse) e, seppur soffocata dal governo, ricchezza etnica-culturale e dovrebbe quindi essere una tappa imperdibile per chiunque abbia minimamente intenzione di viaggiare. Quindi, dopo più di trenta giorni di viaggio arrivo a Yuanyang, che in realtà è la mia penultima tappa: l’ultima sarà Mengzi(蒙自), a 150Km dal confine col Vietnam. A Yuanyang ci sono arrivato da Tengchong ed è stato un viaggio lungo e travagliato durato quasi due giorni pieni: ho preso un pullman che è partito dalla autostazione di Tengchong alle 8:00 (circa) del mattino ed è arrivato a Kunming(capoluogo della regione cinese dello Yunnan) in serata, circa dieci ore dopo, dopodiché pernottamento in un hotel vicino all’autostazione dalla quale sarei dovuto partire il giorno dopo per Yuanyang (che non è la stessa alla quale sono arrivato da Tengchong) e cena a base di 蒙自砂锅米线(Méng zì shāguō mǐxiàn), degli spaghetti di riso in terrina che a quanto pare sono una specialità della città di Mengzi (nel sud della regione cinese dello Yunnan) in un ristorante-bugigattolo nei pressi dell’hotel.

Questi nelle foto qui sopra sono i 蒙自砂锅米线(Méngzì shāguō mǐxiàn).

Comunque passo la nottata a Kunming, che pur essendo conosciuta come “la città dell’eterna primavera”(una cosa del genere), è incredibilmente nella sua più fredda giornata dell’anno (+2°C), e ho letto che nei giorni precedenti al mio arrivo ha finanche nevicato, una cosa sbalorditiva, per questa zona. Il giorno dopo, il 9 febbraio del 2018, ancora in movimento: un altro pullman mi porta da Kuming a Nansha(南沙), la parte nuova della città di Yuanyang. E poi da Yuanyang a Xinjie(新街) a bordo di quelle che sono a tutti gli effetti delle macchine a sette posti abusive (senza licenza, operate da privati) ma che la Lonely Planet si ostina a chiamare “minibus”. Arrivo alle sei di sera, giusto in tempo per il tramonto sulle risaie.

Xinjie comprende tutta una serie di piccoli villagi sulla sommità delle colline e io allogio nel villaggio di Pugaolao (in caratteri cinesi: 普高老) a Duoyishu(多依树) in un ostello, il Timeless Hostel Yuanyang (久居元阳 Jiǔjū Yuányáng in cinese), gestito da un tipo alquanto curioso, ospitale ma allo stesso tempo incazzoso verso qualsiasi tipo di faccenda lui ritenga contraria all’ “etica” del villaggio o dell’ostello (si è incazzato perché secondo lui avevo ordinato troppo cibo e non ce l’avrei fatta a mangiarlo tutto! Ahah). Comunque, l’amico Fritz si è rivelato anche molto utile nel delineare i percorsi più interessanti e suggerire i mezzi di trasporto ideali per l’esplorazione delle risaie a terrazza del giorno dopo.

Biglietto del pullman da Kumning (昆明) a Nansha(南沙), la parte nuova della città di Yuanyang. La parte vecchia (quella con le risaie a terrazza) si chiama Xinjie(新街).

Ad ogni buon modo, visti i consigli del buon amico Fritz di cui sopra, decido che il mezzo di trasporto ideale debbano essere i miei piedi e arriverò a percorrere (secondo il mio fido braccialetto contapassi della Xiaomi) ben 35Km, la distanza più lunga percorsa durante i quattro mesi di viaggio che mi hanno portato dalla capitale della Cina al villaggio di Maumere in Indonesia.

La mia espolorazione delle colline nei dintorni comincia quindi a Duoyishu(多依树): qui siamo nella Cina più rurale, patria degli 哈尼(Hāní), una delle 56 minoranze etniche della Cina e ad ogni angolo si vedono galline erranti e maiali, bufali e vacche che fanno capolino da costruzioni lungo la strada. Si ha davvero l’idea di un’area estremamente remota e poco toccata dal turismo di massa, complice probabilmente anche il fatto che sto viaggiando in pieno inverno, in bassissima stagione.

Una stradina di Duoyishu (多依树)
Una casa alquanto curiosa a Duoyishu (多依树).
Duoyishu(多依树), bestiole in mezzo al paese.

Attraverso diversi villaggi prima di arrivare a Bada(坝达) e in altri villagi lungo la strada, dove si gode di viste mozzafiato sulle risaie a terrazzo secolari in cui il viaggiatore è immerso durante la sua esplorazione. E le foto davvero parlano da sé.

Alcune delle 梯田 (tītián), le risaie a terrazza.
梯田 (tītián), le risaie a terrazza.

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Si va a Tengchong 腾冲 !

Il 5 febbraio 2018, viene l’ora di dirigersi verso Tengchong. “Colazione dei campioni” stamattina, con dei fantastici jiaozi(ravioli al vapore cinesi) conditi con aceto e peperoncino piccante e comprati in questo bugigattolo:

Ristorantino 早点,che vende nooodles, jiaozi e altra roba da prima colazione affianco alla stazione degli autobus di Yunlong (in Cina, nella provincia dello Yunnan).

È venuto il momento di lasciare Nuodeng e così dopo una scorpacciata dei suddetti ravioli accompagnati da un buona bevanda energetica pezzotta cinese simil-Red Bull , che altro non è che la mitologica Ice Bull (冰牛 in cinese), questa:

Una buona Ice Bull è proprio quello che ci vuole per iniziare bene la giornata.

Salto sul pullman per Tengchong e mi metto tranquillo per le prossime 5-6 ore che sono quelle che mi separano dalla mia meta. Tengchong è ‘quasi’ letteralmente un posto di frontiera, situato nell’angolo sud-occidentale della regione più a sud della Cina (lo Yunnan, appunto), non troppo lontano dalla Birmania (o Myanmar che dir si voglia) ed è ‘circondata da 20 vulcani e numerose sorgenti termali…‘(come mi ricorda la Lonely Planet). Mancano ormai pochi giorni, una settimana circa, al capodanno cinese e di conseguenza ci sono bancarelle che vendono addobbi e fuochi d’artificio ovunque.

Delle bancarelle a Tengchong che vendono abbobbi per il capodanno lunare cinese.

Comunque, giunto a destinazione, poso armi e bagagli in ostello e decido di andare a dare uno sguardo a una delle sue attrazioni più celebri, il famoso ‘mare di calore’ (热海 in cinese) che altro non è che una vallata con sorgenti termali, geyser e ruscelli: una delle sorgenti si dice raggiunga la temperatura di 102 gradi Celsius (?), anche se a leggere altrove pare siano ‘solo’ 97 gradi, ed è l’unica dove alla gente che visita il posto è consentito bollire le uova, che vendono in cestini di vimini, mentre in altre zone della vallata è esplicitamente vietato (da appositi cartelli) la cottura di uova; perchè poi uno debba mettersi a bollire delle uova nei pressi di una sorgente in ebollizione in luogo pubblico, è questione che sfugge ad ogni umana comprensione.

Cartelli che scoraggiano la cottura di uova.
La vallata del ‘Mare di Calore’, coi suoi abbondanti vapori.
Una delle sorgenti del 热海(
Rè hǎi ), il ‘Mare di calore’.
La vallata del
热海(
Rè hǎi ) al crepuscolo.
La suddetta sorgente che, sfidando le leggi della fisica, ha (sembra) acqua alla temperatura di 102 gradi Celsius (almeno stando alla Lonely Planet).
È conosciuta (in inglese) come la ‘Big Boiling Pot’.
“Una sorgente a 102 gradi Celsius…215 gradi Fahrenheit!” semicit.
Chi non vorrebbe farsi un buon uovo sodo ?

Ma la cosa interessante oltre alla suddetta vallata piena di ruscelli e fonti termali è il fatto che l’ingresso al ‘parco’ comprende anche l’accesso a tutta una serie di sorgenti (al coperto) dove, previa doccia, ci si può immergere e sguazzare allegramente(portatevi il costume!): ogni sorgente ha una temperatura diversa e a quanto pare ciascuna di queste sorgenti ha i suoi elementi curativi che ne compongono le acque e si va da elementi (naturalmente contenuti nelle piscine/vasche dove viene raccolta l’acqua delle sorgenti) quali zolfo, potassio, ecc ad altre sostanze come caffè, alcohol e tè verde che ovviamente sono stati aggiunti artificialmente (c’è la ‘vasca tè’, la ‘vasca alcohol’, ecc..), il tutto organizzato in una atmosfera da resort di lusso comprensiva di inservienti pronti a mettersi al servizio. Quando decido di recarmi a mettere le chiappe a mollo, facendo il tour delle ‘sorgenti curative’, il sole e’ ormai calato e fuori ormai la temperatura è scesa(siamo a febbraio) e immerso nel calduccio delle acque calde delle sorgenti si sta una pasqua. Il prezzo di accesso alla vallata + sorgenti curative è sui 300 yuan cinesi. Comunque è una bellissima e piacevole esperienza. Dopo quelle 2-3 immerso nei bollori termali e nei fumi della bollente Tengchong mi sento in effetti ‘curato’ e in forma ma (c’è un ‘ma’) scopro che essendo ormai le 10:30 di sera non ci sono più pullman che mi portano a casa, ma forte del mio vigore appena acquisito nelle magiche acque dello Yunnan, faccio di necessità virtù e percorro a piedi la lunga strada verso casa.

Non ci sono più pullman…mi toccano 9km a piedi! (qua ero quasi arrivato). La strada dal Re Hai al centro di Tengchong alle 10 di sera è pressochè deserta come si può vedere da questa mia foto.

Il giorno dopo visito Heshun, a meno di una decina di Km da Tengchong(dove alloggio), un villaggio preservato in modo da sembrare com’era centinaia di anni fa, anche se ormai è ridotto, come spesso accade in Cina, a una baldracca tenuta su solo per fare soldi, piena com’è di trappole per turisti disseminate su tutto il suo territorio e con un biglietto di ingresso di ben 80 yuan (10 euro) per accedere ad un borgo (un posto pubblico) che dovrebbe essere di tutti. Comunque è piacevole passeggiare nelle sue stradine lastricate di pietra comprando snack venduti a bordo strada dagli abitanti del luogo.

Campagna al limitare di Heshun (nella provincia cinese dello Yunnan) a febbraio 2018.
Gente intenta a farsi i cazzi suoi a Heshun (nella provincia cinese dello Yunnan) a febbraio.
Roba da magna’ in vendita a bordo strada ad Heshun.
Vicoletto ad Heshun.
La fantasmagorica Heshun.
Mi so’ magnato letteralmente chili di sti cosi a Heshun, comprati da gente a bordo strada. E non so manco che roba è. PERO’ SO BONI!!!
Foto bonus: piazza nel centro di Tengchong, con bandiera rossa comunista.