北京人 Běijīng rén

Racconti di viaggi in giro per la Cina (e il mondo) di uno che è rimasto a Pechino troppo tempo…

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Come andare da Kangding a Litang (e da Chengdu a Kangding)

La stazione dei pullman Chengdu Chengbei(in caratteri cinesi: 成都城北客运站), a 5 minuti a piedi dalla stazione dei treni di ‘Chengdu North’ .

Pullman da Chengdu a Kangding

Da Chengdu a Kangding:
Pullman da Chengdu a Kangding alle 10:30 dalla stazione dei pullman Chengdu Chengbei(成都城北客运站), a 5 minuti a piedi dalla stazione dei treni di Chengdu North: 7 ore di viaggio, arrivo a Kangding alle 17:30. Ho letto in vari forum/blog su internet che questa strada un tempo era sostanzialmente una sterrata ma al momento (gennaio 2018) è completamente asfaltata.

Biglietto del pullman da Chengdu a Kangding

sulla via da Chengdu a Kangding

Da Kangding a Litang:
C’è solo un autobus giornaliero dalla stazione degli autobus di Kangding a Litang ed è alle 7:00 di mattina e me lo sono perso perchè sono arrivato all’ autostazione alle 08:00.
Ho preso un minibus con partenza alle 08:30 circa da fuori la stazione degli autobus di Kangding (arrivato a Litang alle 14:00 circa per un totale di 6 ore) ed è stata un’esperienza “mistica”.
Ecco come è andata: secondo le mie informazioni (attinte da http://www.chinabusguide.com/ ) dovrebbero esserci due pullman da Kangding a Litang, uno alle 07:00 e uno alle 09:00 (entrambi sui 90/100 yuan), così arrivo alla biglietteria dell’autostazione alle 08:00 e chiedo un biglietto per Litang: al che mi viene risposto (in inglese): ‘tomorrow’ ed inizialmente non capisco perchè credo che l’impiegata stia parlando cinese ma poi ripete ‘tomorrow, no more bus for today’. Così saluto e me ne vado. Fuori ci sono frotte di persone dotate di minibus da 8 posti(7+l’autista) che urlano le loro destinazioni, del tipo: “Chengdu! Chengdu!” , “Litang, Litang, Litang!” e così vado da quello che urla ‘Litang’ che in un primo momento mi spara 230 yuan, poi cala a 130 e poi alla fine insistendo sui 100 yuan la spunto per questa cifra (che è grosso modo la stessa degli autobus regolari).
Sono le ore 8:10 (più o meno) e dopo 20 minuti di attesa verso le 08:30 parte previo ‘reclutamento’ di altri passeggeri per il viaggio: il sopravvenire di ulteriori passeggeri comporta più bagagli e il fatto che ci siano più bagagli significa che il mio sedile è completamente schiacciato dai bagagli verso il sedile d’avanti. Poco male, mi metto in orizzontale e mi corico ma dura poco visto che poco dopo arrivano altri 2 passeggeri e la vettura è letteralmente zeppa di bagagli e persone e sono costretto a stare come una sardina assumendo pose da contorsionista.
Ma questo è il meno, la cosa più tragicamente divertente è l’atteggiamento dell’autista che è (credo) di etnia tibetana ed ha indosso una specie di vestaglia/accappatoio marrone che con poche pause per tutte le 6 ore del viaggio continua a ripetere una specie di litania/preghiera Buddhista(credo) che assomiglia al rumore della centrifuga della lavatrice: a volte ‘recita’ la suddetta filastrocca da solo a volte ripetendo la stessa preghiera/litania che viene trasmessa da una qualche stazione radio di sua scelta, ammorbando così tutti i passeggeri che non necessariamente sono Buddhisti e/o interessati ai suoi versi. Nelle poche pause in cui non urla la suddetta cantilena mette delle canzoni (credo) tibetane. A questo si aggiunge la sua guida che consiste nel manovrare il veicolo tra curve e tornanti a 90 gradi spesso guidando con una sola mano e mandando messaggi vocali col telefonino con l’altra. Per non parlare del fatto di lanciare carta e pezzi di plastica dal finestrino, ma questo è costume tradizionale cinese (credo).
All’arrivo non sono completamente certo di essere arrivato nei pressi della stazione degli autobus di Litang ma il compare con l’accappatoio marrone mi conferma che sono proprio lì. Poi gli mostro l’indirizzo della mia pensione (stanza dormitorio a dieci letti) e mi dice (credo) che non sa leggere: non sono sicuro che dica questo, lo immagino, visto che non parla proprio mandarino ma un suo dialetto interpolato da qualche parola in cinese mandarino.

Litang: punto di arrivo del “minibus” da Kangding a Litang. Il “minibus” in effetti è una di quelle macchine bianche in questa foto.

Zhangjiajie (ho visto nebbia che voi umani non potete nemmeno immaginare..)

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Il mio cammino verso Zhangjiajie comincia il 22 gennaio 2018, quando di buon ora (anche se veramente non so cosa avesse di buono visto che erano le 5:45 di mattina) esco dall’ostello di Changsha (capoluogo della regione cinese dello Hunan) e immerso in un’alba livida mi reco presso la stazione dei treni dove mi aspettano 5 ore di viaggio (ho prenotato una cuccetta così continuo a dormire, tie’ !) verso Zhangjiajie.
Zhangjiajie oltre ad essere il nome della città omonima (piuttosto insignificante) e di un villaggio nei pressi della città, è soprattuto il nome di una delle aree del parco di Wulingyuan (che molti chiamano invece chiamano tutto ‘Zhangjiajie’) ed è uno dei posti scenograficamente più belli al mondo, una serie di montagne dalle forme stranissime, quasi aliene …bellissime (a giudicare dalle foto): tra l’altro negli ultimi anni sono state costruite delle passarelle di vetro trasparenti che pendono sugli strapiombi ai lati di queste formazioni montuose dando la possibilità di ammirare panorami da togliere il fiato.
In tutti i modi il mio piano era di visitare il Tianmen Shan (il Monte Tianmen), vicino la città di Zhangjiajie il primo giorno e la Tianzi Shan (vicino al villaggio di Wulingyuan, che è anche il nome del parco naturale) durante il secondo giorno.
Il mio ostello è nel suddetto villaggio di Wulingyuan, che è a 1 ora e 15 minuti di pullman dalla stazione dei treni di Zhangjiajie(che è dove sono arrivato da Changsha): l’ostello è proprio all’entrata del parco naturale, vicino al Tianzi Shan dove ci sono i panorami più spettacolari del parco.
Ad ogni modo, prenoto una stanza singola(ho voglia di quiete e silenzio!) in questo posto che si chiama Zhangjiajie 1982 Chujian International Hostel (in cinese: 张家界1982初见客栈): per 160 yuan(20 euro) mi danno una stanza enorme con bagno in camera solo per me…veramente niente male.
Dopo essermi rinfrancato e aver avuto una buona notte di sonno (dopo 10 giorni di ostelli in varie citta’ della Cina continentale e dormite sul pavimento a Hong Kong) alle 08:00 prendo il pullman per la stazione dei treni di Zhangjiajie e da lì, con una camminata di 10 minuti, arrivo ai piedi della funivia che mi porterà sopra il monte Tianmen (天门山 in cinese).
Un suggerimento: se alloggiate in ostello fatevi prenotare il biglietto della funivia invece di prenderlo alla biglietteria, questo vi eviterà una fila che nei giorni di maggiore affluenza può arrivare anche a 2 ore; e, altro suggerimento, se vi fate prenotare il biglietto dall’ostello vi daranno un codice con cui prelevare il biglietto presso la funivia (funivia in cinese si dice 索道 suo dao), però quando arriverete alla funivia la fila presso la quale ritirare il biglietto non è la normale fila che si farebbe per comprarlo ma un’altra biglietteria alle spalle della biglietteria ‘regolare’ che si chiama ‘Group Ticket Office’ (in cinese: 团队售票处) dove ci si deve recare per prelevare il biglietto prenotato: in ogni modo quando sono arrivato io sia la biglietteria regolare sia la ‘Group Ticket Office’ erano completamente deserte ed era una scena alquanto spettrale visto che le biglietterie con decine di sportelli e con lunghissime transenne sembravano destinate ad accogliere migliaia di persone.
Comunque, una volta ottenuto il biglietto, mi reco presso l’entrata della funivia (senza fare un secondo di fila!) ,dove salgo a bordo(ehy, è la funivia più lunga dell’Asia, mi dicono!) e inizio la salita….ma ….all’inizio della salita si vede della nebbia attorno ma c’è ancora visibilità, ma man mano che la cabina si avvia verso la cima si comincia a vedere sempre meno fino a che, a circa un terzo della salita, io e gli altri 7 occupanti della cabina siamo completamente avvolti da una coltre di nebbia che avvolge completamente qualsiasi punto intorno a noi: NON SI VEDE NIENTE! La visibilità è ridotta a meno di 30 metri: in occasioni del genere il biglietto dovrebbe essere la metà o la funivia dovrebbe essere chiusa del tutto (che senso ha?).
Scesi dalla funivia si hanno due opzioni da scegliere: ‘East Line’ o ‘West Line’ ma in ogni caso entrambe le linee si congiungono nel punto dall’altra parte della montagna (che è circolare), quindi una volta arrivati alla fine della East Line si può prendere la West Line e viceversa (oppure in alternativa alla fine di una delle due linee si può prendere la seggiovia che riporta di nuovo a dove la funivia era arrivata).
Ad ogni modo, una volta che la funivia è arrivata in cima la situazione è la stessa: visibilità ridotta a zero o quasi.
E in più ci sono altri tre inconvenienti (anzi quattro):
-Le scale mobili che portano alla Tianmen Dong (in cinese 天门洞 , la grotta Tianmen) sono chiuse per riparazioni dal 17 dicembre 2017 (io ci sono stato il 22 gennaio 2018).
-Come conseguenza della chiusura delle suddette scale mobili anche l’accesso alla Tianmen Dong, una delle parti più spettacolari del Monte Tianmen, è precluso.
-L’accesso a una delle 3 passarelle TRASPARENTI sospese nel vuoto, la ‘Coiling Dragon Cliff Glass Bottom Cliffside Path’ (o 盘龙崖玻璃栈道 in cinese) è SBARRATO, ci sono lavori in corso e quindi è inaccessibile (poco male, visto che si sarebbe comunque visto poco).
– L’accesso al monte+funivia costa 258 yuan(33 euro al cambio attuale) + 5 yuan per la passerella di vetro sul versante est della montagna (in cinese: 东线玻璃栈道, che è quella che ho fatto io) + 25 yuan per la seggiovia(non funivia! ma una seggiovia per due persone) che porta dalla fine (dall’incrocio) della ‘East Line’ e ‘West Line’ fino al punto dove era arrivata la funivia e a dove si deve riprendere per scendere a valle.

Punti positivi:
-La nebbia da al tutto un’aria MOLTO mistica (non so perchè ma in casi del genere si pensa SEMPRE a Dracula) che a tratti è anche affascinante ma il punto è che la nebbia è davvero TROPPA, si vede davvero pochissimo.
-La seggiovia (non la funivia!) da 25 yuan, dà una sensazione di essere sospesi tra le nuvole, soprattutto con così tanta nebbia, veramente strana (interessante) ma anche qui la nebbia è davvero troppa.
-Le varie passerelle(di legno) che penzolano dai lati della montagna e la passerella di vetro su cui sono stato danno un’idea che SE SI VEDESSE QUALCOSA sarebbe davvero spettacolare

CINA: Hongcun e Xidi


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Hongcun: stagno della luna (月沼 -Yue zhao) con carne annessa.

Hongcun: stagno della luna (月沼 -Yue zhao) con carne annessa.

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Hongcun: Lago Meridionale (南湖 Nan Hu)

Hongcun: Lago Meridionale (南湖 Nan Hu)

Xidi: 敬爱堂 (palazzo Jinghai)

Xidi: 敬爱堂 (palazzo Jinghai)

Xidi: una strada

Xidi: una strada

Cronache di viaggio …..
E’ una gelida mattina di gennaio come tante altre a Pechino e dopo solo 3 ore di sonno e una sbronza epocale (ma non più epocale del solito) viene a salutarmi G. e mi metto in marcia verso la stazione col cervello che mi pulsa vorticosamente.
La stazione Ovest (Xi Zhan ) di Pechino è il solito delirio fatto di migliaia di vite che si accalcano arrembando verso i treni: un’enorme fiumana che si fa largo verso i binari di quell’enorme mostro di cemento che è la stazione West di Beijing. Alle 13:00 riesco ad approdare sul treno e dopo pochi minuti piombo in un sonno agitato scandito dagli improperi (che avverto tra sonno e veglia) che si urlano l’un l’altro i miei vicini di cuccetta: mi aspettano 20 ore di treno.
Sono diretto verso Huangshan (in cinese: 黄山市) che è sia il nome della cittadina adiacente alla “yellow mountain”(che si chiama appunto Huangshan in cinese), sia il nome della montagna stessa: ad aumentare la confusione c’è il fatto che la suddetta città ha due nomi e cioè Huangshan (per l’appunto) e Tunxi (in cinese: 屯溪) per motivi a me ancora ignoti.
Arrivo a Huangshan (alias Tunxi) la mattina del 20 gennaio ed è una bellissima giornata di sole e ci sono 10 gradi (10 in più di quando sono partito da Pechino): la stazione di Huangshan sembra la stazione di Salerno negli anni ’80 (ahah): stesse dimensioni e MOLTO scalcagnata…infatti seppure con un esterno appariscente l’intonaco all’interno se ne cade a pezzi.
Dalla stazione dei treni prendo un taxi (costo: 10 yuan, meno di un euro e mezzo) che mi porta alla stazione dei pullman di Tunxi/Huangshan da dove prendo un pullman per Hongcun, villaggio dell’etnia cinese Hui a 1 ora e mezza di distanza: il villaggio insieme con Xidi (altro villaggio) è patrimonio UNESCO. All’ingresso del villaggio mi reco presso uno sportello informazioni da dove un’addetta chiama la responsabile dell’ostello/guest house che mi viene a prelevare.
Huangshan è un villaggio estremamente scenografico fatto di laghi, dedali di vicoli, canali e cibo auto-prodotto nel villaggio.
Nell’ostello che si chiama Qingheyue(清和月) dopo le 5 di pomeriggio (è inverno) fa un freddo boia e le aree comuni (sala da pranzo, biblioteca, reception) non solo non sono provviste di riscaldamento ma sono completamente aperte (!) per cui fa un freddo allucinante (durante la notte la temperatura cala a 2-3 gradi)….sono pazzi questi cinesi.
Il giorno successivo viaggetto direzione Xidi in cui rispetto ad Hongcun si nota una differenza sostanziale: qui la gente ci vive ancora, la cittadina è viva, non è solo quasi esclusivamente un posto turistico come Hongcun, c’è un po’ un’atmosfera da ‘tempi andati’, da ritmi di campagna e sensazione che oltre all’immancabile arrivo del turismo parecchia gente viva ancora di agricoltura, allevamento e pesca (si vede gente lavare i panni nel pozzo, per dire).
Al ritorno da Xidi , ancora Hongcun dove mi perdo (piacevolmente) nei vicoli del villaggio e dove dopo una mezzora e un paio di snack mangiati per strada riesco a trovare l’ostello.
Qualcuno dica a sta gente di riscaldare gli edifici…dio Carol. freeeeddd!!

p.s. non so perchè alcune foto perdono di risoluzione quando le carico sul blog.
mio Facebook con più foto: https://www.facebook.com/viva.i.funghi

NICARAGUA: Da Ometepe alle Corn Islands

questo lo avevo scritto a Dicembre 2013 ma aspettavo di pubblicare prima parti precedenti del viaggio in America Latina (centro America) ma visto che non l’ho mai fatto, lo pubblico ora (5 Agosto 2015).

Rama. imbarco per Bluefields

Rama. imbarco per Bluefields

panga da Rama a Bluefields

panga da Rama a Bluefields

la "amena" cittadina di Bluefields in Nicaragua

la “amena” cittadina di Bluefields in Nicaragua

la nave cargo Captain D da Bluefields a big Corn Island

la nave cargo Captain D da Bluefields a big Corn Island

la piu' piccola delle due "Corn Islands": islita

la piu’ piccola delle due “Corn Island”: islita

la piu' piccola delle due Corn Islands: islita

la piu’ piccola delle due Corn Islands: islita

la piu' piccola delle due Corn Islands: islita.  Dal portico di un bar.

la piu’ piccola delle due Corn Islands: islita. Dal portico di un bar.

Arrivare da Ometepe (isola nel Lago de Nicaragua, nel sud del Paese) alle Corn Islands via terra è
una impresa che richiede un’ottima dose di determinazione (e una buona scorta di pazienza e di
“prenderla-come-viene”): I trasporti per parte del (lungo) viaggio spesso cambiano orari di partenza
senza preavviso ed è difficile calcolarne I tempi. Lascio Santa Cruz, vicino all’istmo (se dice così?),
che collega le due parti dell’isola di Ometepe (a forma di otto) verso le 8 di mattina, in un minibus insieme ad altri dell’ostello (Little Morgan, un’ostello senz’altro “affascinOnte”).
Ho ancora sintomi della sbronza della sera prima e il rincoglionimento per una sveglia alle sette di
mattina si fa sentire. Comunque, alle 9 prendo il traghetto da Moyogalpa (uno degli insediamenti
più grandi dell’isola, l’altro è Altagracia) a San Jorge. Ad aspettarmi nella cittadina del santo Giorgio
c’è un pullman (uno dei soliti “chicken bus”, scuola bus -nord- americani in disuso
adattati a trasporto locale) che mi porta a Managua (capitale-dove-non-c’è-un-cazzo-da-vedere del
Nicaragua) da dove prendo un taxi (con la solita contrattazione: “120 cordoba” “….nooo 50 cordoba!”
“bueno, 80 cordoba amigo…” , “no, no…” [e faccio per andarmene], “esta bien, esta bien, 60 cordoba!” eheheheheh anni di Cina hanno affinato “the art-of-contrattazzziooon”) per El Mercado Mayoreo da dove dovrei prendere il bus che mi porta a El Rama (città fluviale, porta per la costa caraibica): il fatto è che sono l’una e mezza di pomeriggio e come mi dice il bigliettaio al terminal dei pullman il prossimo pullman per Rama è alle 18.30: cinque ore dopo! (forse perchè è domenica I trasporti sono ridotti) Essenzialmente mi girano I coglioni e per altro la pillola anti mal di mare (o mal di lago dovrei dire) che ho preso prima di partire dall’isla de Ometepe porta la mia sonnolenza e rincoglionimento a picchi inesplorati. In ogni modo, decido di mangiare, avvolto da questo mio stato di trance e poi vedere come fare: mangio in un comedor (un posto dove si magna inZomm’) lurido e per la prima volta da quando sono arrivato in centro-America ho l’impressione di una povertà diversa da quella che avevo visto fin’ora: avevo sempre avuto il senso di un caos gioioso, di una povertà che allo stesso tempo si esprimeva in allegria e rilassatezza ma al Mercado Mayoreo a Managua ho l’impressione di una disperazione e di una durezza di una condizione sociale iniqua che prima non avevo avvertito.
In tutti I modi, dopo mangiato, vado in giro per lo stazionamento dei pullman e chiedo a un autista di microbus se sa di un bus per Rama prima delle 18.30 (o forse un minibus)…lui dice che va a Juigalpa (sentendolo mi sembrava “uigalpa”) che è sulla via per Rama e da lì forse posso trovare un passaggio: io ancora in stato di atroce stordimento non capisco un cazzo di quello che dice e penso che possa portarmi direttamente alla mia meta finale e salgo sul microbus: ‘sto coglione invece non mi porta manco a Juigalpa ma pur avendomi fatto pagare il biglietto intero (in ogni caso solo 77 cordoba, 2 euro) mi fa scendere 1 ora prima dicendo “eccolo! È il bus diretto per Rama!” ma quando salgo sul suddetto “chicken bus” scopro che va a Juigalpa e non a El Rama. MANNAGGIA DIO! La bestemmia contro il suddetto figlio di zoccola imperversa ma in ogni modo arrivo a Juigalpa verso le 3 e un quarto e dopo circa mezz’ora prendo un pullman per Nueva Guinea, un posto sperso in mezzo alla foresta, nel Nicaragua centro-orientale. Chiedo dove scendere per cambiare nuovamente pullman per arrivare all’agognata meta finale e mi viene ripetutamente detto “alla curva!” , “alla curva!” e io penso: “ma che minchia è sta curva?”, ma comunque dopo un paio d’ore di viaggio in piedi su un pullman sovraffollato (e pieno di studenti universitari) arrivo alla famosa curva che altro non è che una deviazione per cui da una parte si va a Nueva Guinea e dall’altra e El Rama. E alla curva suddetta mi aspetta il pullman per El Rama che arriva prima delle 7(di sera): altro viaggio di un paio d’ore in piedi(meglio del bus delle 18.30 da Managua che arrivava dopo mezzanotte comunque). A El Rama, cittadina fluviale spersa da qualche parte in Nicaragua, presa una camera in un “albergo” per 200 cordoba(meno di 6 euro per una camera piccola ma decente, con perfino il bagno in camera), mi reco al molo dove compro il biglietto per la “panga” che il giorno dopo mi porterà a Bluefields(250 cordoba, 7 euro). Magnato il solito gallo pinto(fagioli e riso, sUstanzialmend) con una qualche carne con salsa di jalapeno, più qualche patata ripiena di formaggio (il tutto per meno di 3 euro), decido di dormire, visto che la partenza della panga il giorno dopo è prevista per le 5.30 di mattina. Una panga sostanzialmente è una bagnarola galleggiante lunga quattro metri e larga due con delle assi sistemate in mezzo dove sono sedute (stipate) ‘na ventina di persone: il viaggio in panga è una cosa che diciamo mi da l’impressione di essere un immigrato albanese in viaggio verso l’Italia (ma in realtà sono in viaggio da Rama a Bluefields) e comunque il viaggio sul fiume è piacevole e il panorama fluviale interessante (mi ricorda il Vietnam o qualche giungla nel sud-est asiatico) e si vedono perfino alcune case di legno costruite sul bordo del fiume, nell’isolamento più totale (immagino niente corrente elettrica, telefono, eccetera). Il viaggio è piacevole almeno fin quando non inizia a piovere a dirotto e ci viene dato un telo di plastica che copre tutta l’imbarcazione e che I passeggeri devono mantenere con le mani per non farlo volare via: una scena che mi sembra anche abbastanza ridicola. Con il cielo che manda giù acqua a secchi arrivo a BlueFields circa 1 ora e quaranta minuti dopo la partenza (verso le 8 meno dieci di mattina) e vicino al molo di arrivo un tipo in impermeabile giallo mi accompagna al molo da dove dovrebbe partire la nave cargo per le Corn Island: sto tipo insiste per vendermi il suo impermeabile per 20 cordoba e continua a chiamarmi “messicano” che non so se sia un modo comune di chiamare gli stranieri in questa parte di mondo o se veramente mi ha preso per messicano. Rifiuto l’impermeabile ma gli do lo stesso le 20 cordoba (ben 50 centesimi di euro) ma la nave cargo per le Corn Island non c’è: parte di mercoledì (e al momento è lunedì), mi tocca aspettare 2 giorni a Bluefields, una città portuale che col suo trambusto e gente affaccendata in ogni tipo di attività mi ricorda(come atmosfera) un misto tra qualche quartiere popolare di Napoli, spruzzato con un’aria languida e dismessa di marca caraibica. A BlueFields la gente (qualcuno) parla anche inglese, eredità della dominazione britannica. Inglese che in realtà è un creolo che mi fa pisciare dalle risate (è un accento inglese alquanto strano).
Comunque sembrano tutti molto affabili, disponibili, alla mano.
Finalmente, due giorni dopo, viene il momento per la nave cargo (la “Captain D” o qualcosa del genere) di partire: la partenza è prevista per le 11.00 del mattino da Bluefields: arrivo al molo verso le 10 e la nave è arrivata (credo) non molto tempo prima da Rama ed è stracolma di casse di Tona (una delle due birre del Nicaragua), altra roba e una dozzina di maiali. Le operazioni di carico e scarico vanno avanti per almeno altre due ore e per le 12.00 finalmente parte. Tempo un ora o poco più e si ferma a El Bluff, dall’altra parte della baia, verso l’oceano e il motivo per cui si ferma….è..che….è a corto di carburante! Quindi intanto che il carburante viene pompato nella nave (un’imbarcazione non troppo grande alla quale nel frattempo sono state aggiunte altre casse di merce, porci,qualche veicolo e una cinquantina di persone) arriva gente con delle barche che dalla fiancata del Captain D inizia a mandare sopra altri maiali, un televisore, qualche scatolone, valige varie, eccetera…in ogni caso, dopo circa un’ora finalmente la nave riparte…ma dopo 10-15 minuti torna ad attraccare di nuovo nello stesso punto e il motivo ora è che devono caricare una decina di barili di benzina: passa un’altra ora (o forse due) e intorno alle 4 di pomeriggio finalmente parte definitivamente per le Corn Islands: il viaggio procede abbastanza tranquillamente (l’imbarcazione è abbastanza grande e il mare non è tanto agitato, quindi sobbalza molto poco), quindi tutto procede bene se non fosse per la musica oscena (sostanzialmente le stesse 4,5 canzoni che continuano a mandare a ripetizione) e un soggetto che non so se ubriaco o non al 100% col cervello che continua a urlare (o “cantare”) cose insensate e ad arrampicarsi sull’albero della nave tra le bestemmie dei marinai che tentano di convincerlo a scendere. Dopo altre 6 ore (e 10 ore dopo la partenza da Bluefields), verso le 10 di sera arriva a (big) Corn Island. Notte passata nel primo albergo(leggi bettola) affianco al porto e la mattina dopo panga per Little Corn Island (20 minuti).
Impressioni su Little (Corn) Island (anche detta islita) ? Non ci sono automobili, ci sono due strade in tutto che vanno intorno l’isola (delle sorta di marciapiedi-sentieri), sabbia bianca, spiagge(poche), palme da cocco, banani, qualche ristorante e bar e un paio di dive center. Tutto molto lento, rilassato….nessuno ha fretta di andare da nessuna parte. Ho la fortuna di beccare un paio di giorni soleggiati nella piovosissima costa caraibica del Nicaragua…yes, bitch! Un paio di giorni di panza al sole, mare e latte di cocco all’ombra delle palme della islita che sì, scenograficamente è veramente da urlo, esattamente come uno immaginerebbe un “paradiso tropicale” (tropicale? Vabbè..). Salute

Messico: Cancun, Holbox, Merida….

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Ottobre 2013. Il viaggio Cina-Italia via terra risale ad ormai 3 anni fa e il viaggio in America latina risale a 1 anno (fine 2013).
Questo è quello che ho scritto un annetto fa (ora è Ottobre 2014):
Sono diretto in Messico e ci vado partendo da Bruxelles dove mi ospita per qualche giorno D., vecchio amico dei tempi dell’università a Napoli: mi ha fatto molto piacere rivederlo e constatare come fortunatamente certe persone non cambino(almeno per il momento). A Brussels ho incontrato di nuovo anche S., che viveva anche lei nella casa-comune di Montesanto (Napoli) ormai 8 anni fa: sono stati momenti molto piacevoli con entrambi.
Fa fresco e il treno per l’aeroporto della capitale belga parte dalla stazione Nord, nel mezzo delle prostitute nere che vendono dalle vetrine le proprie mercanzie.
L’arrivo a Cancun(Messico) è abbastanza scioccante: a parte lo scalo a Cuba(Varadero) per far scendere e salire altri passeggeri(cosa credo mai vista nella storia del trasporto aereo, o quanto meno mai vista da me), all’arrivo la temperatura è di oltre 30 gradi e….sono abbastanza rintronato dal cambio di fuso e dall’idea di trovarmi dall’altra parte del mondo, un’altra parte del mondo molto diversa dalla (per me) familiare (se non pure “di casa” si potrebbe dire) Asia. Non so niente dell’America Latina, ci metto piede per la prima volta e non ho nessun punto di riferimento mentale: non so che tipo di gente ci abita, quale “stato mentale” è la normalità o quanto meno quello predominante. Insomma sono alquanto disorientato.
All’immigrazione quando l’impiegata della dogana messicana mi chiede “vacanza?” credo che stia parlando in Italiano e rispondo “sì sì ….vacanza”: poi mi rendo conto che forse parlava in spagnolo; e questa è un’altra cosa anomala per me: in altri paesi in cui sono stato tipo Cina(dove ho vissuto per circa 5-6 anni) o tutti i paesi asiatici o medio-orientali in cui sono approdato la lingua era totalmente differente da quella nativa e, a parte il cinese, delle altre non ne capivo una sillaba o quasi; ma una lingua così vicina all’Italiana ma che comunque non parlo mi disorienta alquanto “la capisco o non la capisco?”: mi fa sentire un rincoglionito(non che forse probabilmente non lo sia). Arrivo al centro di Cancun: tutte case basse, di un paio di piani al massimo, e mi reco da S. che mi ospiterà a casa sua tramite couchbriochesurfing: un tipo che è istruttore di immersione subacquea (scuba diving) che mi da parecchi consigli per viaggiare in Centro America (che sembra aver girato in lungo e in largo) e fornisce una camera tutta per me per riposare le mie membra distrutte dal viaggio e il mio cervello sconvolto dal cambio di temperatura e dal fuso orario. Il giorno dopo mare tutto il giorno: Cancun è una città estremamente turistica, quasi “la Rimini del Messico” si potrebbe dire piena com’è di resort e alberghi a non finire. Ma comunque ora essendo “bassissima stagione” (secondo le parole del mio ospitante Couchsurfing) le spiaggie sono mezze vuote….ed è una goduria! Acque dai colori entusiasmOnti e spiagge visivamente affascinOnti sono tutte per me! 🙂 Me la godo per un paio di giorni al mare e S. e il suo coinquilino mi danno un po’ di validi consigli per il viaggio (e la condivisione di un certo numero di birre nella night life di Cancun).
Prossima tappa: ISLA HOLBOX Isoletta sulla costa nord del Quintana Roo (uno stato messicano), quasi in Yucatan(altro stato messicano), comunque sopra la penisola dello Yucatan. E’ la fine della stagione delle piogge (fine ottobre) e dopo 3 giorni di sole a Cancun, il tempo all’isola dell’xBox sembra estremamente variabile, tra uno scroscio di pioggia e un inondazione di sole. Holbox è un’isola senza macchine, solo pedoni(ma con kart da campo di golf), e strade fatte di sabbia bianca: un posto di totale pace nel quale oziare e godersi il mar dei Caraibi, fatto in questo caso di spiagge bianche, strani uccelli(tucani? forse), barche di piccole dimensioni adagiate sulla spiaggia e sporadici turisti. Essendo bassissima stagione ci sono pochissimi visitatori e spiagge quasi deserte. Il mio ostello è pieno di amache sulle quali ronfare …zzzz….e poi faccio la conoscenza con le +quesadilla+ , ‘na specie di +taco+ (ma completamente chiuse, non aperte) piene di formaggio (“queso” significa formaggio) e altro: very gooood….ne mangerò una quantità spropositata in Messico. Poi tre-quattro Corona a sera di ordinanza e il tempo passa in allegria.
Dopo un paio di giorni a Holbox, traghetto alle cinque e mezza di mattina per Chiquila (20 minuti) e poi pullman per Merida : il pullman sembra fermarsi lettaralmente ogni momento per far salire e scendere gente, principalmente sembrano studenti di età da medie/superiori italiane, il dubbio che mi viene è a che ora inizi la scuola se questi prendono un pullman alle sei e mezza di mattina. Sulla strada tra Chiquila (sulla costa di fronte all’Isla Holbox) e Merida mi rendo conto in che stato sia la rete stradale messicana: in pratica una stradina a una sola corsia(per senso di marcia) in mezzo alla campagna è il collegamento esistente tra queste due città e le strade che ho percorso in tutto il Messico centro-meridionale non sono in stato migliore. Merida è una cittadina di dimensioni ridotte, di epoca coloniale, con sanpietrini (‘na specie) e case a un solo piano del diciannovesimo secolo. La sua piazza principale è stata costruita in gran parte smembrando (durante la conquista spagnola) monumenti maya per costruire i palazzi della dominazione spagnola (edifici governativi, chiese, monumenti celebrativi): il che sembra abbastanza triste ma da anche alla città un’aria singolare, affascinante. Il mercato è un delirio(come molti mercati in centro America) e vale la pena andarci anche solo per l’atmosfera di caos e vitalità che si respira ed è anche molto grande e ci si trovano chioschi con roba da mangiare a prezzi super stracciati…..come per esempio la +pibil de pollo+ (“pollo” è pronunciato “poglio”), una specie di foglia (di banano?) con avvolto pollo e altre spezie all’interno: cibo tipico di questa parte di Messico. L’ostello in cui sto è appunto una vecchia casa coloniale fatta di cortili uno nell’altro e una grande piscina nel cortile finale, affascinOnte direi.

Il mio viaggio in America Latina

itinerario centr ame

Messico
1.Cancun
2.Isla Holbox
3.Merida
4.Tulum
5.Coba
6.Calakmul
7.Palenque
8.San Cristobal De Las Casas
9.San Juan Chamula
10.Oaxaca
11.San Jose del Pacifico
12.Puerto Angel
13.Zipolite
14.Puerto Escondido

Guatemala
1.Quetzaltenango
2.San Pedro La Laguna
3.Antigua
4.Guatemala City
5.Semuc Champey
6.El Estor (e Finca El Paraiso)

Honduras
1.Copan Ruinas
2.Santa Rosa
3.Gracias
4.La Ceiba
5.Utila

Nicaragua
1.Leon
2.Isla De Ometepe
4.Bluefields
5.Corn Islands
6.Granada

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Sono arrivato in Bulgaria, nel viaggio via terra verso l’Italia, esattamente due anni fa: il 5 dicembre del 2011. Adesso è il 7 dicembre 2012 e sono seduto col portatile sul molo (Muelle de Cabotaje) di La Ceiba (Honduras) in attesa (ormai da alcune ore, visto che ho perso l’imbarcazione precedente per 8 minuti) del traghetto per Utila, l’isola più piccola delle Bay Islands (o Islas de la Bahia che dir si voglia).
Arrivo a Veliko Tarnovo (mia prima fermata in Bulgaria) da Istambul (o istanbul?) in treno. Prima di giungere nella cittadina suddetta il treno ferma a Stara Zagora (altra città bulgara) dove compro , con degli euro che mi sono avanzati da circa un paio d’anni prima, seppure la valuta della Bulgaria sia il lev, il mio primo panino bulgaro, tra i commenti divertiti della signora alla stazione. che per oscuri motivi trova interessOnte il fatto che io paghi in euri (a volte in effetti si ricordano cose non tanto rilevanti xD).
Arrivo a Veliko Tarnovo di sera e mi ospitano delle ragazze(tramite couchsurfing) che studiano lì ma che il giorno dopo devono tornare nella loro città di origine. Guardiamo un film (“Non ti muovere”, in italiano con sottotitoli in inglese) che avevo sul portatile, molto interessOnte e famo due chiacchiere. Il giorno dopo vado un po’ in giro per la cittadina: sustanzialmenD una cittadina tranquilla (MOLTO tranquilla) che ha un castello su una collina come sua “highlight” e qualche chiesa sparsa in giro. Chiese che hanno tutte un’aria insolita rispetto a quelle che in genere ho visto: sembrano tutte nuovissime,come se su tutte avessero dato una mano di pittura bianca molto di recente (o probabilmente sono le chiese stesse che non risalgono a molti anni fa) e soprattutto i dipinti che ci sono all’interno sembrano tutti avere colori molto accesi (quasi “lucidi”, non opachi) e danno un effetto quasi psichedelico forse dovuto al fatto che ciascuna figura (figure sacre: cristo, la madonna, e compagnia bella) sono replicate più volte una accanto all’altro: nel senso che la stessa figura è dipinta come sdoppiata decine di volte in figure identiche (si può vedere in una delle foto di questo post). Il castello dal conto sua ha una lunga strada di accesso e nel momento in cui l’ho visitatato, avvolto com’era nella nebbia, aveva un’aria abbastanza lugubre.
Per il resto strade acciottolate, viottoli, casette a uno o due piani con tetto spiovente. Una città che si potrebbe definire tranquilla, amena: senza traffico, poche macchine, poche persone per le strade, negozi che chiudono presto, eccetera.
La prossima fermata in Bulgaria è Plovdiv, dove mi ospita (ancora tramite il surf del couch xD), un tipo tedesco. Il suggett in questione abita in un palazzo alla periferia della città (ricordo che era l’ultima fermata del pullman), in un’area che sembra tipo di palazzoni popolari, un po’ dismessi. Della sua ospitalità ricordo principalmente lunghe discussioni avanti a litri e litri (letteralmente) di birra: si parla di viaggi, Cina, e un po’ di qualsiasi altra cosa. Plovdiv in se è una città di medie dimensioni, con un paio di musei interessanti (principalmente musei etno-qualcosa dove viene illustrata la vita come era un tempo nell’area, oltre ad eventi storici). C’è una parte della città dove si ha una vista interessOnte su tutta la città sottostante. Ricordo anche la visita a una specie di forte diroccato in una cittadina vicina, che secondo l’opinione del mio ospitante avrebbe dovuto essere molto interessante ma che io sinceramente trovo che sia niente di che.
Intorno al dieci dicembre arrivo a Sofia, capitale bulgara. Mi ospita un tipo del luogo (uno che ho ospitato decine e decine di persone prima di me) e che fa un qualche lavoro che ora non ricordo. Vive solo. Anche lui come l’ospitante di Plovdiv in qualche posto in periferia. Di Sofia ricordo, tra le altre cose, una delle sbronze più pesanti che abbia mai preso: una delle sere che ho passato lì, il tipo di couchsurfing mi ha portato a una festa dove ho sbevazzato da solo qualcosa tipo 3/4 di una bottiglia di vodka. La gente dove mi aveva portato il tipo sembrava interessante, divertente, o forse la mia sbronza epocale era tale da farmeli sembrare in quel modo. Comunque il giorno dopo non ricordavo molto delle fasi della festa successive alle prime due ore: buchi di memoria intervallati da immagini che ometterò per decenza (nonostante “l’imbarazzo in fondo è un residuato dell’ideologia borghese” :D). Sofia è già incredibilmente fredda la sera (non freddissima in realtà, intorno agli zero gradi, ma comunque non una temperatura molto inebriante, diciamo).
Belle, enormi chiese, che hanno la particolarità di essere illuminate da candele vere (invece che elettriche) che danno un’atmosfera affascinante; qualche residuo del comunismo e dei tempi che furono quà e là, tipo un monumento agli eroi del comunismo, qualche parco e grande piazza, un’idea di un interessante intreccio tra oriente e occidente.
Dopo Sofia si parte per Skopje, Macedonia.